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Libera Università di Bolzano

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La tribologia: ovvero, scivolare su una buccia di banana

Per spiegare la tribologia, adottiamo un punto di vista un po’ alternativo. Parliamo delle banane e dalle loro caratteristiche: gialle, leggermente radioattive e incredibilmente scivolose.

By Franco Concli

Il prof. Franco Concli (Facoltà di Ingegneria) è l'autore dell'articolo. Foto: unibz
Il prof. Franco Concli (Facoltà di Ingegneria) è l'autore dell'articolo. Foto: unibz

Che le banane siano gialle è noto ed evidente a tutti. Quello che forse non tutti sanno è che contengono piccole quantità di potassio-40, un isotopo instabile, il che le rende leggermente radioattive. Ma non c’è da preoccuparsi: la radioattività è così bassa che non è dannosa per la salute. Quello che però interessa a noi è la terza caratteristica, quella che dalla nostra infanzia ne fa la caratteristica più peculiare: la loro capacità di farci scivolare (ovviamente si parla della buccia).

Ma quanto sono davvero scivolose le bucce di banana? Un gruppo di ricercatori giapponesi ha studiato la “scivolosità” delle bucce di banana, vincendo persino un Anti-Nobel per la Fisica. Questo studio si basa sulla tribologia, ovvero la scienza che studia l’attrito, la lubrificazione e l’usura delle superfici a contatto, ovvero un tema che è alla base del funzionamento della maggiore parte dei sistemi meccanici e che rappresenta una delle tematiche principali di ricerca del team del professor Franco Concli della Libera Università di Bolzano.

Il ruolo della tribologia

Se si osservano le bucce di banana da vicino, i.e. al microscopio, sulla superficie interna della buccia si possono vedere piccoli follicoli. Quando il povero malcapitato pesta una buccia di banana, il peso del suo corpo produce una pressione sui follicoli tale da romperli e farli rilasciare un gel a base di polisaccaridi (cioè carboidrati e proteine). Questo gel rimane “intrappolato” tra la buccia di banana ed il suolo (o tra la scarpa e la buccia), creando un effetto acquaplaning che rende la superficie estremamente scivolosa.

Il coefficiente d’attrito

Per quantificare questa “scivolosità”, va introdotto un nuovo concetto, l’attrito. Il coefficiente di attrito è un parametro adimensionale definito dal rapporto tra la forza tangenziale e quella perpendicolare – ad esempio, un oggetto pesante posto su un tavolo richiede più forza per essere trascinato a causa una maggiore forza di attrito (funzione del coefficiente di attrito e della sua forza peso) rispetto ad un oggetto più leggero (a parità di coefficiente di attrito).

Il coefficiente di attrito dipende, in prima battuta, dai materiali e dalla rugosità delle superfici. Per dare un’idea di quanto una banana possa fare scivolare, si pensi che il coefficiente di attrito tra uno pneumatico e un asfalto asciutto è attorno al µ=50%. In condizioni di strada bagnata, dove è noto, la tenuta diminuisce, il valore scende ma resta prossimo al 40%. Sulla neve, dove a tutti sarà capitato (più o meno volontariamente) di intraversare l’auto, il valore cala attorno al 30%.

Ecco, nel caso delle banane, ed in particolare tra una buccia di una banana Cavendish e un pavimento in linoleum, il coefficiente di attrito scende al 6%. Questo spiega la nostra quasi impossibilità a rimanere in piedi! Proviamo ad analizzare il problema da un punto di vista geometrico. La nostra camminata è possibile grazie al terzo principio della dinamica, ovvero grazie alla forza di reazione esercitata dal suolo. Durante l’avanzare, la parte bassa degli arti inferiori si inclina in avanti e indietro di circa ± 15°. Sull’asfalto, il nostro piede comincerebbe a scivolare qualora tale angolo superasse i ± 26°. Nel caso di una buccia di banana, inclinando l’asse della gamba oltre 3,8° rispetto al terreno, si cadrebbe rovinosamente…mala tempora currunt!

Un po’ di storia della tribologia

La tribologia è una scienza che si occupa principalmente di studiare gli attriti, ovvero ciò che si oppone al movimento relativo tra due superfici a contatto.

Molti forse non sanno che la moderna tribologia si fonda su studi pionieristici condotti da Leonardo da Vinci nel Quindicesimo Secolo. Da Vinci, con la sua mente geniale, aveva già intuito molti dei principi fondamentali che oggi sono alla base di questa disciplina. Pertanto, la tribologia ha una lunga storia, che affonda le sue radici nei tempi antichi, ma che continua a essere un campo di ricerca ricco di misteri e di sfide irrisolte.

Sebbene i primi studi sull’attrito possano essere fatti risalire a Leonardo da Vinci, il termine “tribologia” è molto più recente. Risale a circa 50 anni fa, quando Peter Jost, un ingegnere meccanico britannico, lo coniò per definire formalmente questa branca della scienza. La scelta del termine “tribologia” deriva dal greco “tribos”, che significa sfregamento, un chiaro riferimento allo studio dell’attrito.

La tribologia oggi

Spesso l’importanza dell’attrito passa inosservata, eppure è fondamentale per la nostra esistenza quotidiana ed è presente ovunque attorno a noi. Pensiamo ad azioni semplici come iniziare a lavarsi i denti al mattino: senza attrito, lo spazzolino non riuscirebbe a rimuovere la placca dai nostri denti. Quando guidiamo una macchina, facciamo affidamento su una buona presa degli pneumatici sull’asfalto, resa possibile grazie all’attrito. Anche guardare un orologio meccanico e avere la certezza che tutte le sue parti in miniatura funzionino correttamente per mostrarci l’ora esatta è un risultato dell’attrito ben gestito tra i vari ingranaggi. Ogni attività quotidiana, per quanto banale possa sembrare, è profondamente influenzata dall’attrito.

La tribologia, come la conosciamo oggi, non si limita però solo all’applicazione dei principi dell’attrito, ma include anche lo studio della lubrificazione e dell’usura. La lubrificazione è fondamentale per ridurre l’attrito tra superfici, aumentando così la durata delle componenti meccaniche e migliorando l’efficienza energetica dei sistemi. L’usura, d’altra parte, riguarda il deterioramento delle superfici a causa dell’attrito e del contatto continuo, un fenomeno che può portare a guasti e a costi di manutenzione elevati.

L’importanza della tribologia

La tribologia ha un impatto enorme su diverse industrie, dalla produzione automobilistica a quella manifatturiera, dall’aeronautica alla biomedicina. Ridurre l’attrito e l’usura nei macchinari industriali può significare enormi risparmi economici e una maggiore sostenibilità ambientale, grazie alla riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2. Uno studio del prof. Woydt dal titolo “The Importance of Tribology for Reducing CO2 Emissions and for Sustainability” ha mostrato come, grazie all’ottimizzazione della lubrificazione dei sistemi meccanici, sarebbe possibile ridurre le emissioni di anidride carbonica di circa 10 Gtonnellate all’anno, corrispondenti a circa il 25% delle emissioni dell’anno 2019. Per raggiungere tale obiettivo, però, risulta imperativo avere a disposizione strumenti e modelli ingegneristici capaci di modellare il fenomeno in modo da poter ottimizzare i nuovi sistemi orientando le scelte progettuali verso la sostenibilità.

In tal senso, il gruppo di ricerca guidato dal prof. Franco Concli si occupa della tribologia applicata ai componenti meccanici, come i cuscinetti volventi e le ruote dentate. Un esempio tipico è rappresentato da un cambio automobilistico. Questo è costituito da numerosi elementi meccanici, tra cui alberi, ingranaggi, sincronizzatori e cuscinetti. Quando gli ingranaggi sono in contatto e i cuscinetti sostengono gli alberi, l’attrito tende a dissipare una parte dell’energia fornita dal motore a combustione interna. Questa energia dissipata si trasforma in calore, causando un aumento della temperatura del sistema. Se tale aumento diventa eccessivo, possono sorgere problemi. Ed è qui che è importante poter intervenire. Ridurre la quantità di energia dissipata ha il doppio vantaggio di diminuire il consumo di carburante e aumentare l’affidabilità del sistema grazie a temperature operative più basse.

Gli strumenti di studio della tribologia

Lo strumento principale che gli ingegneri utilizzano per affrontare le problematiche legate all’attrito è la lubrificazione. Il gruppo di ricerca della Libera Università di Bolzano/Bozen, lavora per ottimizzare la lubrificazione, poiché, se da un lato l’olio o il grasso riducono l’attrito, dall’altro il fenomeno del rimescolamento dell’olio, causato dagli ingranaggi in movimento, rappresenta un’ulteriore fonte di dissipazione energetica. È come quando si mescola l’impasto per una torta: tutta l’energia che si immette nel sistema viene persa trasformandosi in calore. La sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra questi due aspetti, regolando la quantità e il tipo di lubrificante da utilizzare. Per farlo, ci si avvale di strumenti di calcolo avanzati come la fluidodinamica computazionale (CFD).

La CFD risolve per via numerica le equazioni di Navier-Stokes, permettendo di comprendere e ottimizzare il comportamento dei lubrificanti anche nei sistemi meccanici più complessi. Qualora non sia possibile la soluzione analitica del problema nella sua interezza, semplicemente lo si decompone in tantissimi sotto-problemi mediante una discretizzazione spaziale. Bisogna immaginare ogni problema ingegneristico come una sorta di oggetto Lego composto da tanti mattoncini… per ogni mattoncino risulta possibile fare un calcolo semplice… calcolo che di per sé significa poco, ma l’insieme delle soluzioni permette di risalire al comportamento complessivo del problema di interesse, proprio come l’insieme dei mattoncini Lego permette di costruire qualsiasi cosa (Viribus unitis).

La tribologia in banane, crema catalana e ketchup

Si pensi semplicemente a quanto il tipo di lubrificante scelto possa impattare sul comportamento del sistema. Grassi ed olii, infatti, si comportano in modo molto differente: gli olii seguono un comportamento cosiddetto newtoniano (descrivibile di fatto attraverso due soli parametri: densità e viscosità), mentre i grassi mostrano comportamenti non-newtoniani, cambiando viscosità a seconda della velocità a cui si muovono. Se volete meglio capire il comportamento di un fluido non-newtoniano, provate a miscelare acqua e maizena o fecola di patate (formando l’oobleck): questo avrà un comportamento per cui, se agitato lentamente, apparirà come un liquido, ma si trasformerà in solido qualora si provasse ad agitarlo velocemente.

Questo comportamento permetterebbe anche, per rimanere in campo alimentare, di correre su una piscina di crema catalana senza affondarvici. Tuttavia, sarebbe meglio mangiarla. Ma con calma per evitare che diventi solida.

Nella vita quotidiana si incontrano spesso fluidi non-newtoniani: l’asfalto, il dentifricio e il nostro stesso sangue. Questi sono tutti fluidi familiari di cui, dal punto di vista tribologico, sappiamo ancora troppo poco ed il cui comportamento ci appare spesso strano. Riflettendoci, ci confrontiamo ogni giorno con fenomeni, a volte divertenti, altre volte fastidiosi, che possono essere facilmente spiegati con un approccio fisico. A differenza della crema catalana, il ketchup, ha la caratteristica di diventare meno viscoso con l’aumento della velocità. Per questo quando si preme il tubetto sembra che non esca nulla finché, all’improvviso, la salsa accelera e schizza dappertutto.

Se può sembrare strano collegare banane, crema catalana e ketchup con il cambio dell’automobile, vi farà sorridere sapere che un gruppo di ricerca teutonico ha provato a sostituire l’olio lubrificante di un riduttore ad ingranaggi con della birra, scoprendo tra l’altro che quest’ultima possiede capacità lubrificanti superiori a molti oli minerali. Tuttavia, forse è meglio utilizzare la birra in modo diverso!

Qual è l’impatto della tribologia a livello globale

Tornando alle cose serie. Nell’ultimo decennio il trasporto su gomma è aumentato di oltre il 15%. Parallelamente, il mercato delle macchine agricole è incremento di oltre il 5% annuo. In questo contesto, sviluppare veicoli e macchinari sempre più efficienti è un requisito necessario per contribuire ad uno sviluppo sostenibile. Il lavoro solto dall’equipe del prof. Franco Concli ha un impatto importante sulla sostenibilità e sul percorso verso le emissioni zero.

Ma se Peter Jost, il padre della tribologia, nel 1966 pubblicò un rapporto che evidenziava come i costi legati agli attriti, usura e corrosione rappresentassero circa l’1,25% del PIL inglese, secondo recenti studi, oggigiorno è addirittura il 25% dell’energia generata a livello globale viene persa nei contatti tribologici. Secondo questi studi, il 40% di queste perdite potrebbe essere ridotto nei prossimi 20 anni, a patto che la ricerca continui. Il potenziale di risparmio, tradotto in soldoni, sarebbe di circa 600 miliardi di € all’anno tra danni economici diretti ed indiretti.

Per questo, forse, è importante investire oggi in una scienza che ha molto potenziale ed ancora qualche lato oscuro.

Questo articolo è stato pubblicato su "Il progettista industriale".

Persone nell’articolo: Franco Concli