Conti e colori: quando l’ideologia politica entra nel bilancio aziendale
Di Arturo Zilli

Cosa c’entrano le idee politiche dei dipendenti con l’ultima linea del bilancio? Più di quanto si pensi. Un nuovo studio firmato da Luca Menicacci (Libera Università di Bolzano), Gianluca Moretti (Università di Firenze) e Simone Terzani (Università di Perugia) svela il legame sottile ma potente tra orientamento ideologico e pratiche di gestione degli utili - il cosiddetto “earnings management“ - nelle imprese statunitensi.
La ricerca, Red, blue and the bottom line: political ideologies in financial reporting, pubblicata sulla rivista Journal of Financial Reporting and Accounting, analizza oltre 700 aziende quotate dello S&P 1500 tra il 2013 e il 2020. Punto di partenza: i contributi politici dei dipendenti, tracciabili e pubblici negli Stati Uniti. Un modo originale, dal basso verso l’alto, per misurare l’”identità politica” delle aziende.
Metodo scientifico, sguardo sociologico
Lo studio ha incrociato dati finanziari con l’ideologia politica prevalente in ciascuna impresa, distinguendo tra quelle “liberali” (più vicine ai Democratici) e “conservatrici” (vicine ai Repubblicani). Gli autori hanno poi misurato la propensione delle aziende a manipolare gli utili, ossia a modificarli strategicamente (legalmente ma con discrezionalità) per fini aziendali o reputazionali.
Sono stati utilizzati tre diversi modelli di analisi per individuare sia l’intensità sia la direzione di questo comportamento contabile: uno - composito - per misurarne l’ampiezza, uno basato sul “grado di discrezionalità nelle valutazioni di bilancio” (componenti di reddito non monetari) e uno sui costi di produzione (cioè azioni reali, come tagli a R&S o marketing).

Liberali più attivi (e più audaci) nella gestione degli utili
Il risultato? Le imprese “liberali” mostrano una maggiore tendenza a manipolare gli utili rispetto a quelle “conservatrici”. Ma non solo: lo fanno soprattutto “al ribasso”. In pratica, sono più propense a sottostimare i profitti nel breve termine, per ragioni strategiche.
Tre le possibili spiegazioni individuate dai ricercatori: creare riserve (“cookie jars”) da usare in un futuro meno roseo; concentrare le perdite in un solo periodo per ripartire puliti (“big bath”); apparire meno redditizie per accedere a sussidi pubblici.
Tutte strategie compatibili con un orientamento ideologico più tollerante verso il rischio, meno spaventato dalle perdite temporanee, e più aperto al ruolo dello Stato nell’economia.
Un contributo originale alla letteratura contabile
Il lavoro si distingue nella letteratura accademica perché non si limita a studiare i legami tra aziende e politica, ma esplora come le idee – diffuse nella cultura interna di un’organizzazione – si riflettano nei comportamenti economici. Un approccio innovativo, che arricchisce la comprensione delle dinamiche tra finanza, cultura d’impresa e società.
“Con questo studio – afferma Luca Menicacci – contribuiamo a una lettura più sfaccettata del bilancio: non solo come strumento tecnico, ma anche come prodotto delle scelte culturali e valoriali che attraversano le organizzazioni.”