Presa di posizione sull'istituzione di classi speciali
By Simone Seitz, Heidrun Demo
Abbiamo ascoltato con sollievo la notizia che la classe speciale per alunne ed alunni che non parlano o parlano poco il tedesco non sarà istituita. Per chi fa ricerca nel nostro ambito, questo è un sollievo che non viene da convinzioni politiche e ideologiche, ma dal vedere che il sapere prodotto dal dibattito pedagogico più attuale possa orientare le pratiche della scuola reale. Perché, infatti, dal punto di vista della pedagogia dell’inclusione, l’istituzione di classi speciali non è difendibile.
Sul piano etico, se la scuola è palestra di democrazia, un luogo, cioè, dove ciascuno impara ciò di cui ha bisogno per realizzarsi personalmente e, contemporaneamente, sente che in questo percorso è parte di una comunità di riferimento collaborativa e solidale, le classi speciali che separano e isolano non possono essere considerate una strategia valida.
Sul piano dell’efficacia, non vi è evidenza che in gruppi più omogenei alunne ed alunni abbiano risultati di apprendimento migliori. Molta letteratura, invece, racconta come sia vissuta negativamente sul piano dello sviluppo personale e sociale l’esperienza di marginalizzazione e segregazione. Quali sono gli effetti a lungo termine di alunne ed alunni che accumulano frustrazione, bassa autostima e crescono in una scuola che proietta su di loro basse aspettative? Che cittadini di domani saranno? Cosa restituiranno alla comunità?
Sul piano della scuola come sistema, poi, la scelta delle classi speciali rappresenta una risposta conservatrice rispetto al tema dell’eterogeneità. Separare alimenta la speranza (in realtà illusione) che, con classi più omogenee, i modi di organizzare la scuola e progettare apprendimento ed insegnamento realizzati fino a qui possano ancora funzionare. L’eterogeneità che mette in evidenza i limiti del modo attuale di fare scuola spinge, invece, verso soluzioni coraggiose, verso un ripensamento profondo di strutture e pratiche. Un paio di esempi potrebbero essere i seguenti. 1) Superare l’idea che la classe sia l’unico modo di organizzare i gruppi di apprendimento a scuola: se si alternassero momenti di lavoro in classe, a momenti in classi aperte e gruppi ricreati sulla base di interesse o bisogni comuni, sarebbe per esempio possibile offrire momenti di supporto mirato limitando i processi di isolamento e stigmatizzazione. 2) Potenziare il tempo dedicato alla progettazione didattica: la complessità delle classi chiede una progettazione accurata delle attività e delle forme di partecipazione e differenziazione per alunne ed alunni diversi (tempi diversi, modalità di lavoro diverse,…) che si può affrontare molto meglio in team e che quindi guadagnerebbe qualità nell’essere svolta a scuola invece che a casa.
Ma soprattutto è fondamentale supportare un atteggiamento riflessivo di ricerca nelle comunità scolastiche. Questo mette al riparo da soluzioni semplicistiche e promuove lo sviluppo di pratiche che tengono conto contemporaneamente delle caratteristiche del contesto specifico e delle attuali conoscenze scientifiche sull’educazione. Un ottimo esempio in questo senso si trova proprio nelle scuole di lingua tedesca della Provincia: il percorso “Wege in die Bildung 2030 - guter Unterricht in der inklusiven Schule” sostiene processi di sviluppo -diversi in scuole diverse- che migliorano la qualità dell’offerta formativa nell’ottica di renderla significativa per tutte e tutti.
Certo, questo modo di lavorare chiede investimento costante nella formazione iniziale e formazione in servizio nelle scuole. Docenti non formati, senza accompagnamento e supporto, faticano ad assumere questo tipo di postura e a contribuire attivamente alla ricerca di soluzioni democratiche e trasformative in una scuola aperta alle differenze.