Shime, l’intestino virtuale del laboratorio Micro4Food
By Arturo Zilli
Per gli amici - i ricercatori e le ricercatrici del laboratorio Micro4Food - meglio conosciuto con l’acronimo Shime. Apparecchiatura unica in ambito accademico in Italia, è il mezzo con cui si possono studiare le reazioni chimiche e metaboliche che avvengono nell’intestino umano per capire se quello che ingeriamo e quello che ingeriamo fa bene o male al nostro ecosistema intestinale. Scopriamone insieme qualità e impieghi.
Nel laboratorio di microbiologia alimentare Micro4Food al NOI, dove lavora un’équipe composta da una ventina di docenti, ricercatori e studenti e studentesse di PhD, un’intera stanza è destinata ad accogliere lo Shime. Ciò è dovuto non soltanto all’ingombro dell’apparecchiatura ma anche alla sua assoluta unicità: senza ombra di dubbio, questo simulatore è l’ospite tecnologico più importante del laboratorio diretto dalla prof.ssa Raffaella Di Cagno, microbiologa e docente della Facoltà di Scienze e Tecnologie di unibz. Lo Shime è diventato essenziale nelle ricerche del laboratorio perché permette di studiare il microbiota intestinale e valutare, in ultima analisi, gli effetti degli alimenti – ogni tipo di sostanza o ingrediente – sul nostro benessere.
L’uso del termine “microbiota intestinale” negli ultimi anni è diventato appannaggio non solo di ricercatori e medici ma anche della popolazione generale. Non solo le pubblicazioni scientifiche dedicate a questo tema hanno conosciuto una crescita esponenziale ma anche testi divulgativi in libreria e riviste specializzate in salute e del benessere vengono pubblicati in continuazione e non è insolito leggerne persino sulle etichette di prodotti del supermercato. Come mai il microbiota ha raggiunto tutta questa fama tra il grande pubblico? “Fondamentalmente perché la ricerca scientifica ha provato l’influenza positiva sullo stato di salute della persona, ha dimostrato cioè l’importanza dei microorganismi presenti nell’intestino nell’asse dieta-uomo”, spiega Raffaella Di Cagno.
Una delle direzioni di ricerca che fanno del Micro4Food un punto di riferimento, non solo locale ma anche nazionale e internazionale, è appunto quella legata agli effetti dell’alimentazione sul microbiota. Il pane prodotto con lievito madre è più benefico rispetto a quello con lievito di birra? Come garantire che il succo di frutta o lo latti fermentati che devono essere commercializzati come alimenti funzionali favoriscano lo stato di salute della persona? Sono alcuni esempi delle ricerche svolte nei laboratori al NOI Techpark in cui entra in gioco lo Shime che è la riproduzione di un intestino umano. Attenzione però: il suo aspetto lascerebbe delusi chi si aspetta uno strumento che ricalca l’intestino dal punto di vista anatomico.
A prima vista la macchina si presenta come una lunga successione di scatole metalliche collegate da un intrico di tubi e tubicini. “Lo Shime è un simulatore del tratto intestinale”, spiega Andrea Polo, ricercatore del Micro4Food Lab e “custode” del prezioso alleato, “si può definirlo anche come una successione di bioreattori (le “scatole” appunto) ciascuno dei quali riproduce al proprio interno tutte le condizioni chimico-fisiche di un segmento del tratto gastrointestinale”. Ogni scatola ha una funzione specifica: un contenitore ricrea le condizioni dello stomaco, un altro quelle del piccolo intestino, un altro ancora il colon ascendente, fino a comporre tutto l’intero percorso. “Lo Shime dispone di diversi contenitori per i diversi segmenti perché ciascuno di questi presenta condizioni diverse, ossia pH e composti chimici che non sono mai identici”, puntualizza Polo che è anche colui da cui dipende il buon funzionamento dello strumento. A rendere possibile il transito dei liquidi da un segmento all’altro dell’intestino è una serie di pompe che fanno affluire nelle scatole un brodo sintetico che ricalca dal punto di vista chimico un pasto digerito standardizzato, contenente zuccheri, carboidrati e altre sostanze.
“Una pompa aspira il liquido con le sostanze che vogliamo studiare e lo trasferisce nel primo contenitore, lo stomaco, dove incontra le condizioni tipiche dell’ambiente gastrico, quindi un pH molto acido”, chiarisce Polo, “qui rimane per un po’ di tempo, così da darci il tempo di rilevare tutti i dati sul comportamento nello stomaco; dopo di che, entra in gioco una seconda pompa che pesca dalla prima scatola e così via”. Il tempo di permanenza in ogni segmento – tempo standard che rispetta protocolli codificati – viene impostato dai ricercatori. Ad ogni step del viaggio attraverso l’intestino, al liquido sotto esame posso venire aggiunti altri composti. “Ad esempio quando si arriva al piccolo intestino vengono inseriti i succhi pancreatici, caratteristici di questo ambiente”, aggiunge Polo.
Il vantaggio di disporre di un alleato per la ricerca come lo Shime è che si possono fare esperimenti altrimenti difficili da svolgere dal vivo. “E tutto può essere fatto N volte, senza limiti”, afferma Di Cagno, “ovviamente l’uomo non mangia una volta sola al giorno, mangia tre volte, colazione, pranzo e cena. La macchina con un software riproduce questo ciclo di alimentazione, per riprodurre fedelmente la condizione reale. Possiamo far durare l’esperimento quanto vogliamo: una settimana, un mese, due mesi a seconda dell’obiettivo dello studio”. Non solo: modificando alcuni parametri dell’ecosistema intestinale, l’esperimento si può differenziare per dare conto della diversità che esiste tra individui diversi esposti allo stesso tipo di alimentazione.
Ma la grandiosità dello Shime consiste nel fatto che esso permette, rispetto agli esperimenti in vivo, di eliminare tutte quelle variabili che entrano in gioco quando si fanno prove su esseri viventi e che possono falsare il rapporto causa-effetto tra alimento e impatto sull’ecosistema intestinale. Se oggi una persona mangia un determinato alimento e noi analizziamo quello che ha dentro, come facciamo a dire che un effetto è dovuto a quello che ha mangiato piuttosto che a un malessere del giorno prima? Con il simulatore, eliminiamo tutte le possibili variabili individuali e creiamo un rapporto diretto tra l’alimento e l’effetto che ha nel sistema intestinale”, sottolinea la responsabile del laboratorio. Senza trascurare la questione etica e dei dati sensibili che lo Shime permette di bypassare del tutto, spianando la strada alla ricerca.
“Ma”, si chiederà il lettore, “alla fine del percorso tutti sappiamo cosa avviene nel corpo umano, una volta che tutto il procedimento della digestione è stato completato. E nello Shime?”. Il simulatore anche qui funziona esattamente come il corpo umano. Non viene prodotto un solido ma un liquido maleodorante chiamato in modo elegante “waste”, ovvero rifiuto. E come spesso accade è proprio dalle cose che noi riteniamo di minor valore che spesso arrivano le cose più preziose. Nella nostra spiegazione abbiamo dimenticato di ricordare da dove vengono i microorganismi che ogni intestino ha e che rappresentano il microbioma vero e proprio. Beh, è proprio dal prodotto ultimo di un intestino umano. Sì, avete capito bene. I ricercatori prendono campioni fecali, in cui i microorganismi vivono e che provengono da un colon umano, e riescono a riprodurli e a reinserirli nello Shime. “In pratica portiamo indietro le lancette del tempo”, conclude Polo, “il campione fecale deriva dagli ambienti che vogliamo riprodurre in vitro. Noi riusciamo a fare il processo inverso, ovvero a riprodurre il microbioma intestinale da cui deriva. Questa è anche la ragione per la quale possiamo riprodurre le condizioni intestinali di più persone diverse, proprio sfruttando campioni di origine diversa e rappresentativi di persone distinte per età, costituzione fisica, salute”. Al traguardo, dopo questo lungo viaggio, i ricercatori disporranno di un campione contenente i microorganismi inseriti. I ricercatori a questo punto l’analizzeranno per vedere e misurare l’effetto di determinate sostanze sulla comunità microbica.
Related people: Raffaella Di Cagno, Andrea Polo