“Insegnamento. Puntiamo sullo sviluppo della sensibilità linguistica”
By Arturo Zilli

Prof. Spreafico, alla Facoltà di Scienze della Formazione, lei insegna “Acquisizione e Didattica della L1”, “Acquisizione e didattica dell’italiano L2”, e “Fonetica, fonologia e consapevolezza fonologica”. Sulla base della sua specializzazione in ambito didattico, le chiedo: come si impara una lingua?
Bella domanda a cui, in tutta onestà, mi sentirei di rispondere che nessuno lo sa con certezza.
Si spieghi meglio.
È una domanda difficile, cui sono state date decine di risposte diverse visto che sono più di 4.000 anni che si insegnano le lingue, come dimostrano le testimonianze che troviamo nell’Antico Egitto prima e nel subcontinente indiano poi, quando Pāṇini scrive la sua grammatica sanscrita anche per finalità didattiche. La domanda su come si imparano e si insegnano le lingue è quindi una costante della storia dell’uomo sin dall’Età antica a cui però non siamo ancora riusciti a dare una risposta né esaustiva né condivisa dalla comunità scientifica. Aggiungo poi che quando si tratta questo argomento, la stragrande maggioranza delle persone che non lo fa per lavoro ricorre ad aneddoti o esperienze personali, più che a osservazioni attendibili e generalizzabili, il che crea ancora più confusione.
Per non scivolare sul piano dell’aneddotica, cosa dice la scienza a questo proposito?
Anzitutto che ancora sappiamo molte meno cose di quelle che ci vorremmo sapere e ci servirebbero per rispondere alla domanda; quindi che vale la pena investire sulla ricerca in questo campo! Infatti oggi riusciamo a descrivere alcune delle tappe fondamentali dello sviluppo linguistico in specifici contesti, per esempio quelle della prima lingua in bambini che crescano in ambienti monolingui o di adulti che imparino la loro seconda lingua là dove la si parla, ma già se trattiamo del come si impara una terza lingua le nostre idee sono molto meno chiare. E dobbiamo anche dire che fortunatamente riusciamo a sfruttare alcune delle nostre ipotesi su come si imparano le lingue così da insegnarle al meglio. Ma troppo spesso ancora non riusciamo a spiegarci soprattutto perché, anche se le insegniamo e le studiamo con impegno, le lingue non sempre le impariamo, con grande insoddisfazione di tutti.
Detta così, sembrerebbe una sconfessione della disciplina che insegna.
No, non sostengo questo ma bisognerebbe ricordare - e io lo faccio sempre nei miei corsi a Scienze della Formazione primaria - che noi possiamo insegnare una lingua ma non avremo mai la certezza che questa verrà imparata. D’altra parte invece abbiamo la certezza che un sacco di persone impara una lingua anche se nessuno gliel’ha mai insegnata.
Come mai?
Forse perché sbagliamo a insegnarle, e lo testimonia la moltitudine di punti di vista, approcci e metodi che proviamo a usare per farlo. O forse – ed è la mia personale posizione – perché abbiamo preso la strada sbagliata per capire come insegnarle.
In cosa esattamente stiamo sbagliando?
Probabilmente non stiamo usando i metodi più adatti per osservare i processi di apprendimento e di insegnamento delle lingue. E poi sicuramente stiamo considerando l’apprendimento e l’insegnamento di un numero troppo limitato di lingue per poterne ricavarne generalizzazioni sensate. La facoltà di linguaggio è in grado di gestire l’acquisizione di ognuna delle circa 6.000 lingue diverse oggi parlate al mondo. Ma di quante di queste la ricerca ha studiato i processi di acquisizione e apprendimento con un dettaglio sufficiente? Direi una cinquantina.

Si riferisce a quelle lingue di cui esiste un corpus anche di letteratura e di didattica?
Mi riferisco a quelle per le quali esiste una base di sapere scientifico con un qualche valore predittivo e per le quali sapremmo dire che le cose avverranno proprio in certo un modo e non in altri.
L’impetuoso progresso dell’Intelligenza Artificiale può aiutare o sta già aiutando a questo scopo?
Personalmente trovo che per quanto riguarda l’applicazione dell’intelligenza artificiale alla didattica delle lingue ancora non ci sia una rivoluzione in atto, perlomeno non come me la aspetterei. Gli approcci, i metodi e le tecniche di insegnamento soggiacenti alle applicazioni di IA per imparare le lingue sono tendenzialmente ancora gli stessi che si utilizzavano prima della diffusione della IA stessa. Direi infatti che al momento a cambiare è soprattutto la modalità con cui si somministrano le attività a chi studia le lingue e con cui si danno dei riscontri sui progressi di apprendimento. E attenzione: questi sono sicuramente dei cambiamenti importanti e positivi, vista la possibilità di personalizzare e ottimizzare l’insegnamento in base allo stadio di apprendimento in cui si trova chi impara. Poi senza dubbio l’IA sta accelerando i processi di ricerca su come si imparano e insegnano le lingue e sta aiutando ad elaborare una visione d'insieme più solida rispetto a quella che già non abbiamo, cosa che prevedo migliorerà ulteriormente se riusciremo sia ad aumentare sia il numero di lingue considerate che a standardizzare i processi di osservazione dei dati.
Quale può essere allora l’approccio più efficace?
Come docente che insegna a Scienze della Formazione primaria, ad oggi cerco di far maturare la consapevolezza che molto di quello che proponiamo in termini di approcci, metodi e tecniche glottodidattiche, un domani potrebbe essere considerato inadeguato. Punto quindi a formare insegnanti che maturino piena consapevolezza di cosa sono le lingue, come funzionano e, in conseguenza di ciò, anche a come si possa sfruttare quel che sappiamo per insegnarle. In tal senso il tentativo è quello di trasmettere saperi che abbiano una validità che va oltre le mode del momento.
Immagine: unsplash
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