Capitale umano: qual è il prezzo?
By Massimiliano Bonacchi
Questo testo riassume l’intervento tenuto dal prof. Bonacchi durante la presentazione del rapporto annuale "L'economia delle Province autonome di Trento e di Bolzano" di Banca d’Italia, avvenuto martedì 18 giugno nel campus di Bolzano.
Se vogliamo che la demografia non sia destino dobbiamo imparare a valutare il prezzo del capitale umano non solo guardando alle voci di conto economico ma anche e soprattutto ai benefici (ai ritorni) degli investimenti in capitale umano per le imprese che li sostengono.
L'aveva intuito già il grande economista inglese Alfred Marshall, che nel 1890 notava come “Il capitale di maggior valore è quello investito nell'essere umano”. Oggi ce lo ricorda il Rapporto annuale della Banca d’Italia sulla economia delle provincie autonome di Trento e Bolzano che dedica un approfondimento al “capitale umano e mobilità”, il cui incipit è il seguente: “La capacità di attrarre popolazione, soprattutto quella con titolo di studio elevato, può avere un impatto sull’accumulazione di capitale umano e quindi sullo sviluppo economico di un territorio”. Guardando ai risultati di bilancio il rapporto disegna un quadro fatto di molte luci con aziende che nel periodo che va dal 2017 al 2022 sono cresciute in termini di fatturato, sono più redditizie, hanno ridotto l’indebitamento e di conseguenza anche l’incidenza degli oneri finanziari sul conto economico. Questo successo non manca tuttavia di alcune ombre, esso si basa sulla capacità delle imprese di attingere a fattori produttivi quali il capitale ed il lavoro in grado di sostenere lo sviluppo. Mentre per la capacità di investire in capitale tangibile (immobili e macchinari per semplificare) non sembrano esserci problemi il tema cruciale per lo sviluppo della nostra provincia sembra proprio essere il capitale umano. Soprattutto se consideriamo il fatto che, in una economia della conoscenza, la differenza la fanno soprattutto le risorse intangibili, di cui il capitale umano ne è il motore, questo può diventare nel medio periodo un problema per le aziende del territorio.
Il 42,4 per cento delle aziende che hanno cercato lavoratori (circa la metà di quelle intervistate) non li hanno trovati o hanno impiegato più di tre mesi per farlo. Sono questi i risultati di una indagine un’indagine riferita al 2023, condotta da Banca d’Italia in collaborazione con l’Ufficio Studi e Ricerche della Camera di Commercio di Trento su 1.200 imprese trentine non agricole. La stessa ricerca ci dice che per far fronte alla carenza di personale la metà delle aziende intervistate non ha attuato alcuna azione per attrarre o trattenere lavoratori, mentre quelle che hanno fatto qualcosa si sono avvalse di incrementi salariali, benefit aziendali (si pensi alle assicurazioni sanitarie integrative, ai programmi che garantiscono una pensione integrativa ai dipendenti), maggiore flessibilità (si pensi agli orari flessibili), formazione professionale. La stessa ricerca evidenzia come “La mancanza di manodopera costituisce un ostacolo alla crescita delle imprese limitandone potenzialmente l’operatività e la capacità produttiva” in particolare si evidenzia come le aziende che hanno difficoltà a reperire dipendenti si trovano costrette a ridurre produzione rinunciando a commesse, oppure ad aumentare i tempi di consegna dei beni e servizi. Non investire in capitale umano ha dunque un costo-opportunità che non è immediatamente rilevato in contabilità.
Questo quindi il quadro delineato dal rapporto annuale della Banca d’Italia, ci dobbiamo chiedere quali siano gli strumenti funzionali a sostenere ed incentivare il percorso degli imprenditori locali a superare una certa reticenza ad investire ancora di più nel capitale umano. L’impresa per sua natura come tutti sappiamo ha bisogno anche di fare utili per sopravvivere nel lungo periodo, non è un’opera caritatevole: l’imprenditore deve in qualche misura rinvenire una convenienza, anche economica nei propri investimenti. Per tale motivo dobbiamo rivolgere lo sguardo alla contabilità stessa dell’azienda e partire dal concetto che tutti conosciamo di “costo di esercizio” e di “investimento”. Ma se è vero che tutti siamo consapevoli che il salario dei dipendenti è quello che possiamo definire un “costo di esercizio”, forse non siamo così consapevoli che esistono altri costi, che pur incidendo con segno negativo sulla contabilità aziendale possono dare benefici futuri. Si tratta di tutti quei costi o meglio investimenti volti a migliorare la qualità del capitale umano.
E’ utile partire da esempi concreti: il costo di un corso di formazione, l’istituzione di un asilo nido aziendale al primo impatto sembrano solo “costi” in quanto non hanno un immediato e quantificabile ritorno economico; se riflettiamo un po’ più approfonditamente però questi costi esplicano evidenti benefici ed effetti nel corso del tempo: nel primo esempio si può dire che personale più preparato commette meno errori, impiega meno tempo nell’eseguire il suo compito, reca maggiore soddisfazione alla clientela. Nel secondo esempio un genitore sarà propenso a scegliere quell’azienda che gli permette più agevolmente di conciliare famiglia e lavoro e con ciò al contempo si attraggono nuove risorse e si rendono stabili quelle che già ci sono riducendo il turnover aziendale. Al contrario, proseguendo con i medesimi esempi, non fare questi investimenti comporta verosimilmente, un mancato miglioramento della produzione o del servizio e una minore attrazione di nuovo personale e l’aumento del rischio di perdere dipendenti con esperienza.
Da qui si dovrebbe avvertire l’esigenza di separare in contabilità i costi di esercizio dai costi di investimento – in questo caso nel capitale umano. Questo per poter verificare empiricamente nel tempo se gli investimenti di cui si è detto sopra hanno avuto l’effetto di aumentare, in termini di miglioramento ed efficienza, la produttività aziendale e di diminuire il turnover. Quindi il primo passo da compiere è quello di separare nei report aziendali il costo degli stipendi dei lavoratori impiegati in una certa azienda, dalle spese sostenute per gli investimenti in questo ambito, così sarà molto più semplice comprenderne il ritorno in termini economici e anche accedere ad eventuali sovvenzioni pubbliche.
Conseguire i benefici di cui stiamo parlando presuppone a monte una strategia aziendale che anche qui come di consueto si deve articolare nelle tre fasi di pianificazione, azione e verifica dei risultati: l’imprenditore consapevole al momento di decidere se effettuare o meno un determinato investimento in capitale umano deve conoscere il beneficio che con questo vuole portare all’azienda (es. attrarre nuovi dipendenti di esperienza), se il beneficio è ritenuto di rilevanza aziendale effettua l’investimento già avendo valutato ex ante che il beneficio potrebbe non essere immediato. Proprio poiché, tornando agli esempi di cui sopra, il ritorno in termini economici non è certo e può anche essere protratto nel tempo la terza fase della verifica dei risultati è qui ancora più importante. Valutare e quantificare i benefici conseguiti dall’azienda per merito dell’investimento fatto richiede il rilevamento di informazioni specifiche non immediatamente disponibili nei tradizionali sistemi contabili aziendali. Esemplificando, per monitorare un eventuale incremento della capacità di attrarre nuovi dipendenti o la capacità di mantenere i dipendenti già presenti, occorre dotarsi di un software di monitoraggio delle candidature e del turnover. Comprendiamo, per esempio, che frequenti sostituzioni di personale come un non adeguato numero di nuove candidature comportano un rallentamento dell’efficienza dell’impresa in termini di inserimento nel complesso aziendale di nuove persone e posti vacanti per tempi più o meno lunghi. Utilizzare questi strumenti in modo efficace può fornire informazioni preziose per migliorare la gestione del capitale umano e, di conseguenza, le performance aziendali complessive.
Così l’imprenditore saprà se quell’investimento ha raggiunto l’obiettivo e soprattutto in quale grado; di conseguenza prenderà chiara coscienza di quanto avrebbe perso se non lo avesse fatto. L’imprenditore sa già che il capitale umano ha un costo, quello di cui ancora deve diventare consapevole è che non investire in quel capitale non significa risparmiare dei costi, ma significa pagare un prezzo.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito di informazione Alto Adige Innovazione.