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Freie Universität Bozen

“L’importante è suscitare interesse nelle persone”

Pietro Postacchini, ingegnere energetico di unibz, e Giada Cattelan, biologa molecolare di Eurac Research, raccontano la loro esperienza al Bolzano Science Slam.

Von Giulia Maria Marchetti

Quale era il tema del vostro slam?

Giada Cattelan: Io ho parlato dell’innervazione del cuore: perché è importante? Che funzione svolge nel nostro organismo? La possiamo ricreare in laboratorio? Ho raccontato quello che faccio tutti i giorni, ma invece di scendere nel dettaglio del mio progetto ho preferito presentare l’argomento in generale.  

Pietro Postacchini: Anche io ho cercato di presentare il contesto, più che i risultati. Nel mio caso si trattava di transizione energetica e produzione di biometano.

É più difficile presentare il proprio lavoro a un pubblico di non esperti o a dei colleghi durante un convegno?

Cattelan: Dipende. Quando provavo il mio slam a casa ho ricevuto delle critiche sul fatto che parlassi in modo troppo semplice, ma le ho ignorate (ride) e ho spiegato quello che faccio quasi come se stessi parlando a un bambino, cercando di non dare niente per scontato. Rispetto a un convegno, invece, mi imbarazzava un po’ l’idea di far ridere le persone.

Postacchini: Per me in entrambi i casi si tratta di raccontare le cose in modo chiaro e in breve tempo, cosa che non è semplice da fare. Alle conferenze la parte più difficile riguarda le domande finali, mentre quando si presenta a un pubblico di non esperti l’aspetto critico è sciogliere l’imbarazzo iniziale di essere su un palco.  Una volta fatto il primo passo vengono tante idee su come “uscire” dal modo di spiegare scientifico e come intrattenere le persone. Un’altra cosa difficile dello slam per me è stata quella di trovare le metafore giuste: se non sono azzeccate, invece di rendere il tema più comprensibile rischiano di distogliere l’attenzione.

Cattelan: Prima dello slam abbiamo ricevuto un coaching per prepararci. Io e Pietro eravamo nello stesso gruppo e, anche dopo la formazione, ci siamo trovati tutti insieme per provare le nostre presentazioni e darci spunti, idee e suggerimenti. È stato molto utile.

Prepararvi per lo slam vi ha dato modo di vedere il vostro lavoro di ricerca da un punto di vista diverso e notare qualcosa di nuovo?

Cattelan: Sì, mi ha permesso di focalizzarmi sul contesto, più che sul dettaglio. Mi sono “tirata fuori” dal mio progetto, quasi non ne ho parlato. Per me era importante far capire il rilievo del mio ambito di ricerca, più che i risultati del mio progetto nello specifico.

Postacchini: Lo slam per me è stato molto appagante. Mentre parlavo vedevo davanti a me 200 persone che mi ascoltavano e si divertivano: quando scrivi un paper non sai in quanti effettivamente lo leggeranno. È stata un’esperienza utile anche per il futuro, in caso mi dovesse capitare, pensando in modo molto ambizioso, di convincere un investitore a staccare un assegno da un milione di euro per finanziare la mia ricerca.

 

Pietro Postacchini durante la sua presentazione. Foto: Claudia Corrent | NOI Techpark
Pietro Postacchini durante la sua presentazione. Foto: Claudia Corrent | NOI Techpark

Nelle varie serate dello slam sono stati trattati temi molto attuali, dalla salute al cambiamento climatico. C’è un modo per divulgarli in modo che vengano effettivamente percepiti delle persone? Spesso si punta al catastrofismo, pensate sia utile fare leva sulla paura?

Postacchini: Per me presentare un tema in modo catastrofico è sbagliato. È vero, attira l’attenzione, ma demotiva anche molto. Credo che sia importante presentare non solo i fatti nella loro gravità, ma anche delle soluzioni che tengano conto della complessità della realtà e propongano dei miglioramenti. Da scienziati dobbiamo trovare il modo di presentare questi temi in modo semplice, distaccandoci e facendo distaccare il pubblico dai soliti stereotipi.

Cattelan: Penso che la modalità dello slam sia molto efficace in questo senso. Tanti amici sono venuti ad ascoltarmi perché glielo ho chiesto, ma poi hanno ammesso di essersi divertiti, di aver capito quello di cui mi occupo e di averlo a loro volta raccontato ad altri amici. E hanno apprezzato molto l’evento e gli argomenti trattati, nonostante non ne avessero mai sentito parlare prima. Neanche io sono a favore del catastrofismo: in un contesto tranquillo come quello dello Science Slam, davanti a qualcosa da bere, il messaggio è comunque arrivato. La chiave secondo me è riuscire a interessare le persone e trovare il giusto modo per dire le cose. Ad esempio, guardando questa scatola che abbiamo qui sul tavolo (una confezione di Loacker che faceva parte del cesto premio per i migliori slam) possiamo dire che è “tremendamente gialla” o “fantasticamente gialla”, ma sempre gialla rimane: dipende da noi come vogliamo che venga percepita.

Postacchini: È molto importante sapere comunicare gli argomenti, perché le persone possono essere molto o molto poco interessate al tema a seconda di come lo si racconta. Al liceo, ad esempio, avevo un’insegnante che spiegava molto bene e che mi aveva fatto appassionare a chimica e biologia. L’anno successivo abbiamo cambiato insegnante e le stesse materie non mi interessavano più: sapere rendere un argomento interessante per il pubblico fa un’enorme differenza.

Vedete delle differenze tra la vecchia e la nuova generazione di ricercatori? Vi sembra ci sia un modo nuovo di approcciarsi alla scienza rispetto al passato?

Cattelan: A dire il vero non saprei. Nel nostro team siamo tutti abbastanza giovani e io vedo un grande entusiasmo, tanta voglia di fare. Allo stesso tempo vedo anche insofferenza verso gli aspetti burocratici della nostra professione, che forse una volta pesavano meno.

Postacchini: Anche io trovo difficile rispondere a questa domanda. La mia impressione è che le nuove generazioni siano generalmente più spinte da una motivazione concreta. Una volta si pensava più in astratto e l’ambizione era più focalizzata su una professione, come il voler diventare ingegnere, mentre oggi la volontà è quella di risolvere un dato problema, dandosi obiettivi tangibili con una motivazione precisa. Sarebbe bello se questo pensiero orientasse la ricerca e si ragionasse in termini di contributo a un obiettivo, più che focalizzarsi sul numero di paper da pubblicare.

 

Giada Cattelan durante la sua presentazione. Foto: Claudia Corrent | NOI Techpark
Giada Cattelan durante la sua presentazione. Foto: Claudia Corrent | NOI Techpark

In che modo la vostra ricerca può migliorare il futuro?

Cattelan: Contribuendo a capire i meccanismi di azione della cardiomiopatia aritmogena, una malattia genetica spesso asintomatica che può causare morte improvvisa. Questa malattia è particolarmente nota tra i tifosi di diversi sport, in quanto è costata la vita a diversi calciatori famosi, come Davide Astori. Capire come agisce la malattia ci aiuterebbe poi nello sviluppo di una possibile cura o di un nuovo farmaco per curarla.

Postacchini: Lo scopo finale degli approcci su cui lavoro è il raggiungimento della neutralità climatica, fermare quindi l’accumulo di carbone fossile nell’atmosfera. Per questo ho proposto un’alternativa alle fonti fossili che si fonda sull’uso di risorse rinnovabili.  

Tornando alla vostra esperienza sul palco, secondo voi, cosa ha apprezzato in particolare il pubblico?

Cattelan: Stammy, il pupazzetto rosa che rappresentava una cellula staminale.

Postacchini: Per me il fatto che tu abbia usato la bacchetta, da spettatore è stato molto bello ed emotivamente coinvolgente.

Cattelan: Ho diretto il pubblico come un direttore d’orchestra. Io rappresentavo il sistema nervoso e il pubblico era il cuore che batteva le mani a tempo. 

Giada Cattelan, a te cosa è piaciuto nello slam del tuo collega?

Cattelan: Mi ha fatto molto ridere. Per introdurre il tema del biometano, ha iniziato parlando della cacca di mucca, poiché anche le mucche producono metano durante la digestione. Inoltre ha trovato la metafora giusta per presentare l’argomento in modo semplice. Per spiegare come rendere i processi industriali di digestione più produttivi, ha usato la metafora di un villaggio in cui ognuno svolge il suo ruolo, è stata un’immagine molto calzante.

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