Il doppio freno per la scienza americana. Un'opportunità per l'Europa?
Von Federico Boffa

Questo editoriale - a cura dei proff. Federico Boffa (Facoltà di Economia unibz) e Giacomo Ponzetto (CREI e Università Pompeu Fabra) - è stato pubblicato sul quotidiano Alto Adige il 12 giugno 2025.
Per quasi un secolo gli Stati Uniti sono stati il motore principale della ricerca scientifica mondiale. Il loro primato si è fondato su investimenti ineguagliati e sulla capacità di attrarre i migliori scienziati da tutto il mondo. Le politiche del governo Trump segnano dunque una svolta radicale, con tagli incisivi ai finanziamenti e severe restrizioni all’immigrazione degli studiosi: un doppio freno per la scienza americana.
La brusca frenata degli USA è destinata a ritardare il progresso scientifico nel mondo intero. La scienza non è infatti una gara in cui se un concorrente rallenta gli altri guadagnano un’opportunità di sorpasso. È invece un’impresa cooperativa in cui tutti beneficiamo di ogni nuova scoperta e invenzione, che sia avvenuta nel nostro paese o all’estero. Anche perché il progresso scientifico di ogni regione fa da volano a quello delle altre: lo confermano molti studi, tra cui uno recente di Marta Prato sulla la mobilità dei ricercatori tra l’Europa e l’America. Sino ad oggi, trasferirsi in USA ha consentito agli europei di innovare di più: di conseguenza, anche la produttività dei colleghi rimasti in Europa è aumentata, sia perché continuano a collaborare con i ricercatori emigrati, sia perché ne utilizzano i risultati nel proprio lavoro.
Difficilmente, quindi, un maggior finanziamento della ricerca nel resto del mondo potrà compensare appieno la riduzione degli investimenti statunitensi. Ciò non toglie che l’Unione Europea debba fare uno sforzo: sia per il bene comune, sia per rimanere al passo degli USA e della Cina. Da troppo tempo, infatti, il Vecchio Continente tende a restare indietro. La scollatura più grave riguarda l’investimento privato in ricerca e sviluppo: nel 2023, il 42,3% del totale mondiale è stato in USA, ma solo il 18.7% in UE. Colmare questo deficit cronico è un obiettivo già segnalato dal Rapporto Draghi dello scorso autunno.
Mettere in atto questi buoni propositi è più difficile che enunciarli. Non solo per la difficoltà di reperire le risorse, pubbliche e private, per finanziare la ricerca; ma anche e forse soprattutto perché le risorse ottenute vanno poi sfruttate nel modo più efficace ed efficiente. La formula più promettente sembra quella di potenziare gli strumenti hanno già riscontrato i maggiori successi. Anzitutto lo European Research Council (ERC), che finanzia progetti scientifici di eccellenza ed è il candidato naturale a riempire il vuoto lasciato dall’omologo statunitense, la National Science Foundation (NSF). Si prospetta una chiara opportunità di accrescere la quantità di progetti meritevoli finanziati in Europa: aumentando se possibile lo stanziamento totale, ma altresì riducendo l’ammontare dei singoli finanziamenti, così da poterne aumentare il numero anche a parità di spesa.

Hanno inoltre dimostrato di aumentare l’innovazione, se non altro nel breve termine, politiche fiscali mirate come quelle adottate da alcuni paesi europei per attrarre ricercatori stranieri e favorire il rientro dei cervelli. Possono risultare utili anche programmi specifici come quelli su cui stiamo ragionando nella nostra Provincia e presso l’Università di Bolzano. Infine, è essenziale promuovere una maggiore collaborazione tra il settore pubblico e quello privato per stimolare gli investimenti in R&S delle imprese, senza appesantire e semmai snellendo la burocrazia, che di tali investimenti è un notorio deterrente.
La crisi politica americana sta offrendo all’Europa, e all’Italia in particolare, una nuova possibilità di agire su un problema comunque ineludibile: le croniche insufficienze della nostra capacità di attrarre scienziati e dei nostri investimenti in ricerca e sviluppo. Se sapremo cogliere l’occasione, confermeremo la sapienza dei greci, che associavano etimologicamente il concetto di crisi a quello di opportunità.
Foto: Xiangkun ZHU su unsplash