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Riempire le culle vuote con il “Demeny Voting”

Un’innovazione costituzionale potrebbe arrestare l’inverno demografico italiano? È un’ipotesi, dimostrata da uno studio di Federico Boffa, professore di Economia Applicata.

By Arturo Zilli

Il "Demeny Voting" è una modifica radicale del principio “Una testa, un voto”. Foto: iStock
Il "Demeny Voting" è una modifica radicale del principio “Una testa, un voto”. Foto: iStock

Non è un Paese per giovani. Quante volte abbiamo sentito parafrasare il titolo del film dei fratelli Cohen per indicare l’Italia? Tante, forse troppe, ma non senza ragioni. La dinamica demografica, certificata dall’Istat, segna un inesorabile calo delle nascite e una popolazione residente in decrescita (con l’unica eccezione della Provincia di Bolzano). Tradotto in parole povere: ci sono sempre meno bambini e sempre più persone anziane. Senza contare che molti giovani, negli ultimi anni, sono espatriati, aggravando una situazione già in bilico. C’è veramente poco da stare allegri perché una società che non si rinnova, ipoteca il suo futuro anche dal punto di vista economico. Secondo l’istituto nazionale di statistica, “il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2023 a circa uno a uno nel 2050”: un carico insostenibile per chi dovrà mantenere, oltre a sé stesso, anche un pensionato.

Come invertire la rotta? Ogni schieramento ha idee e proposte diverse ma finora i contributi diretti alle famiglie come l’assegno di natalità – il cosiddetto “Bonus bebé” – non sembrano aver sortito effetti tangibili. Una modesta proposta arriva però dalla letteratura scientifica in campo economico e consiste nel “Demeny Voting”, dal nome del demografo ed economista ungherese Paul Demeny che l’ha proposta per primo: un sistema per il quale le famiglie con figli disporrebbero di un maggior peso nell’urna elettorale potendo così influenzare politiche più favorevoli a chi ha prole.

Federico Boffa, professore della Facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano, si è occupato di rimedi alla denatalità nello studio “Enfranchising Children Through Proxy Voting: Welfare and Demographic Implications” (L’affrancamento dei bambini attraverso il voto per delega: Implicazioni demografiche e di benessere, ndt.) – realizzato in collaborazione con Tommaso Reggiani (Cardiff University), Matteo Rizzolli (LUMSA University) e Federico Trombetta (DISEIS, Università Cattolica del Sacro Cuore) – in cui ha analizzato gli effetti del “Proxy Voting” o “Voto per delega” (sinonimo di “Demeny Voting”).

“Il primo che aveva proposto un peso diverso del voto fu, a dire il vero, il filosofo trentino Antonio Rosmini”, afferma Boffa, “in questo secolo l’ha ripresa il demografo ungherese Demeny che ha avanzato la richiesta di dare un peso maggiore ai voti dei genitori di figli minorenni per spostare il centro di interessi della politica verso le istanze dei giovani e, in particolare, dei giovani genitori”. A pensarci bene, al momento il principio “una testa, un voto” al momento non vale per i minorenni, che non votano. Di fatto, la proposta di Demeny rappresenterebbe dunque una radicale estensione del principio “una testa, un voto”, applicandolo così a tutta la popolazione. Uno dei pregi di questo sistema è che, nella fase iniziale, si tratterebbe di una riforma a costo zero, al contrario delle politiche assistenziali o ridistributive che hanno bisogno di trovare adeguate coperture finanziarie: un’impresa da fare tremare le vene ai polsi, in un Paese come l’Italia che ha un’enorme problema di debito pubblico. E poi, nel lungo periodo, si tratterebbe di un sistema che si auto-finanzia, grazie all’aumento di natalità che porterebbe.

Ovviamente si tratta di un’iniziativa molto audace e all’orizzonte non si vedono forze politiche che potrebbero farne un vessillo. Potrebbe portare a resistenze fra chi non ha figli o fra gli anziani. “Anche se, a ben vedere, a lungo andare potrebbero guadagnarci anche loro”, puntualizza il docente. L’idea alla base del Demeny Voting è che il sistema impostato su un’interpretazione diversa del voto dovrebbe automaticamente portare a dare maggiore valore e più possibilità di realizzazione a politiche favorevoli alla natalità e ai più giovani. “L’ipotesi di fondo è che se si assegna un peso aumentato in cabina elettorale ai genitori con figli minorenni, questi tenderebbero a dare a dar più peso a questioni che hanno a che vedere con l’educazione, per esempio, perché vogliono che i figli abbiano più possibilità in futuro”, precisa Boffa.

Inoltre la consapevolezza che chi ha figli ha più voce in capitolo – potendo sostenere chi, tra i politici, avanza proposte più in linea con le proprie esigenze familiari – potrebbe generare un vantaggio non solamente per questi ultimi ma anche per la società nel suo complesso. Se gli elettori sono consapevoli che in Costituzione esiste una norma che favorisce chi ha figli, si creeranno degli incentivi automatici per chi contempla di averne. “Secondariamente, investendo maggiori risorse in ambiti che stanno a cuore ai genitori, come l’educazione primaria – che secondo le ricerche è quella che conta di più nello sviluppo della persona –, si mette in moto un meccanismo virtuoso per cui alla fine la produttività totale di un Paese aumenta e ciò, a livello macroeconomico, beneficia anche chi non ha figli”, spiega Boffa.

Si potrebbe archiviare la proposta di Boffa e co-autori come un esercizio accademico ma i tre economisti hanno testato la loro proposta con delle simulazioni: queste mostrano che il Demeny Voting è veramente in grado di spezzare il circolo vizioso della denatalità, e, a certe condizioni, beneficia tutti, anche chi non ha figli.

Il prof. Federico Boffa, uno degli autori della ricerca. Foto:unibz
Il prof. Federico Boffa, uno degli autori della ricerca. Foto:unibz

Se in vitro, per così dire, date determinate condizioni, l’esperimento ha dimostrato di funzionare, rimane comunque da verificare sul campo. Al momento attuale, ancora nessuno Stato l’ha messo in pratica. “Alcuni Paesi, come l’Austria, hanno ridotto a 16 anni l’età di voto in tutte le elezioni, altri, come la Germania, lo hanno fatto per le recenti elezioni europee e altri ancora stanno interrogandosi sull’utilità di dare il voto a quelli che hanno 14 o 16 anni, quindi di ridurre l’età minima per esercitare questo diritto. È un’altra strada, meno radicale e probabilmente, per diverse ragioni, meno utile ma il senso è lo stesso”, dice il professore.

Attualmente, purtroppo, uno scenario come quello prospettato dallo studio di Boffa rimane un’ipotesi abbastanza lontana dalla realtà italiana dove i sacrifici difficilmente vengono imposti alle fasce di popolazione che votano, quelle sempre più anziane. “Ora un politico ha incentivo a tagliare risorse che beneficiano i più giovani, perché sono pochi, per non essere penalizzato nella successiva tornata elettorale”, conclude l’autore della ricerca, “Il Demeny Voting avrebbe effetti immediati ma è una misura che potrebbe produrre effetti consolidati nel tempo e che permetterebbe di imprimere credibilità anche a tutte le altre misure temporanee, come i diversi bonus finalizzati a favorire la natalità”.

Questo articolo è stato pubblicato sull'ultimo numero della rivista "Academia".

Article also available in German or Italian

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