Gli alberi da frutto antichi raccontano la storia climatica dell’Alto Adige
By Giulia Maria Marchetti

Il legno degli alberi da frutto rappresenta un archivio vivente che, nelle mani giuste, può svelare preziose informazioni sul clima del passato e su come le piante si siano adattate ai cambiamenti climatici ed atmosferici. Le mani, e le menti, giuste, in questo caso, sono quelle dei ricercatori dei gruppi di Ecofisiologia ed ecosistemi arborei e di Selvicoltura, che hanno analizzato la composizione degli anelli di accrescimento dei tronchi di vecchi esemplari di melo e pero per capire come la loro crescita sia stata influenzata dai fattori climatici ed atmosferici negli anni.
Uno studio effettuato dai ricercatori di unibz mostra come l’analisi degli isotopi di carbonio e ossigeno apra un varco nel passato, permettendo di valutare come le piante da frutto abbiano risposto ai cambiamenti climatici. I ricercatori hanno individuato dei rari esemplari di antichi frutteti di melo della varietà Gravensteiner di circa 100 anni, situati nel comune di Lana, e di pero della varietà William di circa 80 anni nel comune di Prato allo Stelvio. Nel comune di Prato allo Stelvio, i ricercatori hanno anche prelevato un campione di un pero monumentale di circa 200 anni della varietà ‘Pala Birne’.

Dai singoli anelli del tronco di cinque alberi per specie, estratti tramite carotaggio, i ricercatori hanno poi analizzato gli isotopi del carbonio (13C) e dell’ossigeno (18O), ovvero delle forme più pesanti di questi atomi, che sono meno presenti in natura, in quanto prevalgono generalmente le loro forme “più leggere” (12C e 16O), contenenti un numero inferiore di neutroni. Nello studio, i ricercatori hanno sfruttato questa caratteristica per analizzare, nei singoli anni di questa lunga serie storica, come queste piante abbiano utilizzato l’anidride carbonica (CO2) e l’acqua (H2O) per la fotosintesi, il processo che è alla base della crescita delle piante stesse, e per la traspirazione, durante la quale le piante rilasciano acqua sottoforma di vapore.
I ricercatori sono riusciti per la prima volta ad utilizzare questo metodo, fino ad ora applicato a specie forestali, anche su alberi da frutto e a documentare che dal 1990, con l’aumentare della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, i peri, ma soprattutto i meli, sono riusciti ad adattarsi, sfruttando l’incremento di CO2 per aumentare l’intensità della fotosintesi. Tra i prodotti della fotosintesi c’è il glucosio, lo zucchero dal quale si ricava l’energia per i vari processi e per la costruzione di tutte le molecole all’interno delle cellule. Più fotosintesi significa quindi più energia per gli alberi, maggiore crescita e spesso una produttività più elevata.
Lo studio, condotto da Leonardo Montagnani e Enrico Tomelleri, professori di Ecologia forestale, Massimo Tagliavini, professore di Fisiologia ed Ecologia degli ecosistemi arborei, e Nilendu Singh, visiting scientist del Wadia Institute of Himalayan Geology a Dehradun, in India, è stato pubblicato nel 2025 sulla rivista scientifica Frontiers in Plant Sciences. Gli antichi alberi analizzati sono stati individuati grazie alla cortese collaborazione di Wolfgang Drahorad, ex tecnico del Beratungsring für Obst und Weinbau ed ex direttore del Museo della Mela, e di Reinhold Stainer, ex ricercatore del Centro di Sperimentazione Laimburg.
Questi risultati mostrano l’importanza dei vecchi alberi da frutto ancora esistenti in alto Adige. Essi non costituiscono solo una memoria storica di altri periodi di vita ed economia della nostra Provincia, ma sono anche un archivio vivente che consente di conoscere come alberi, uomo e ambiente hanno interagito nell’ultimo secolo.
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