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Linguistics Culture

È possibile salvare una lingua dall’estinzione? Il caso “estremo” del walser

Un caso forse estremo che permette però di mettere meglio a fuoco alcune contraddizioni delle attuali pratiche di politica linguistica.

By Silvia Dal Negro

La prof.ssa Silvia Dal Negro, autrice dell'articolo. Foto: unibz
La prof.ssa Silvia Dal Negro, autrice dell'articolo. Foto: unibz

Le “colonie” walser sono il risultato di una serie di migrazioni di popolazioni alto-alemanniche che dalla Svizzera si sono spostate a sud delle Alpi a partire dal XII-XIII secolo. Sebbene facciano parte dello stesso continuum dialettale, otto secoli di distacco più o meno accentuato dalla “madrepatria” hanno però fatto sì che questi dialetti si sviluppassero autonomamente sia dalla loro controparte svizzera, sia reciprocamente, col risultato che oggi due parlanti walser appartenenti a due diverse comunità ricorrono all’italiano per comunicare fra loro. Dal punto di vista demografico i parlanti dei dialetti walser “meridionali” sono poco più di un migliaio, sparpagliati in meno di una decina di piccole comunità di montagna non contigue fra loro (fra Valle d’Aosta, province di Vercelli e Verbania in Piemonte, e Canton Ticino in Svizzera), da sempre a rischio spopolamento.

Ma possiamo considerare il walser una lingua? Se una definizione univoca è impossibile, possiamo rispondere affermativamente per il piano linguistico, in quanto i dialetti walser sono sufficientemente distanti sia dal tedesco, sia dall’italiano e dispongono di un lessico e di una grammatica coerenti e indipendenti da queste o da altre lingue. D’altra parte, sul piano sociolinguistico, e cioè delle funzioni che ricopre, il walser non può essere considerato una lingua. Per usare due termini tecnici della politica linguistica, il walser è una Abstandsprache (o lingua per distanziamento) ma non una Ausbausprache (o lingua per elaborazione). Questo non è di per sé un problema: a lungo i dialetti walser sono stati (e in parte lo sono ancora, seppure limitatamente a pochi nuclei familiari) il codice primario di comunicazione parlata interno alle comunità e, in alcuni casi, anche per gli scambi (soprattutto commerciali) trans-nazionali, a nord delle Alpi, sempre sul piano dell’oralità.
I problemi sono sorti, paradossalmente, quando nel dicembre 1999 il Parlamento italiano ha finalmente approvato la legge 482 per la tutela delle minoranze linguistiche, con la quale si riconoscevano ufficialmente, oltre all’italiano, altre 12 lingue di minoranza: albanese, catalano, greco, sloveno, croato, francese, franco-provenzale, friulano, ladino, occitano, sardo e non meglio precisate varietà germaniche, fra le quali ha trovato posto anche il walser. Si è trattato di un enorme passo in avanti sul piano dei diritti, ma molti linguisti si resero subito conto della difficoltà oggettiva di applicare questa stessa legge a casi concreti, fra i quali ad esempio il walser. Una “lingua” non scritta, frammentata in dialetti non intercomprensibili, troppo distante dal tedesco standard perché questo potesse farle da “tetto”, doveva potersi attrezzare per essere impiegata negli ambiti amministrativi ed educativi. Mentre il numero dei parlanti effettivi scendeva inesorabilmente, le comunità walser si trovarono così a fare i conti con una “lingua walser”, riconosciuta dallo Stato, legittimate ad usarla in domini che non le erano mai stati propri.

Propongo, a titolo di esempio, un aneddoto che mi pare significativo. Nel 2019 a Formazza (una delle località walser del Piemonte) sono iniziati i lavori di riqualificazione dell’edificio comunale. L’edificio, che risaliva agli anni ’50-’60 del Novecento, presentava una facciata per metà intonacata a calce e per metà ricoperta di travi in legno, in linea con l’architettura tradizionale. Nella parte bianca erano ben visibili due scritte: la parola italiana MUNICIPIO, in stampatello maiuscolo, e appena sotto la parola tedesca Gemeindehaus, per la quale era stato scelto il carattere Fraktur. Questa scritta, apposta sulla facciata dell’edificio istituzionalmente più importante della comunità, comunicava di fatto due messaggi: da una parte “etichettava” Formazza come minoranza linguistico-culturale tedesca (informazione enfatizzata dall’uso della Fraktur), dall’altra segnalava implicitamente che italiano e tedesco non erano proprio sullo stesso piano, soprattutto dal punto di vista amministrativo: l’italiano era la lingua d’uso, il tedesco la lingua della tradizione.

A lavori ultimati, nell’estate del 2020 si è potuta ammirare la nuova facciata del municipio: invece della parola in tedesco è ora in evidenza il corrispondente in walser formazzino (sempre utilizzando lo stile Fraktur), Kmeindhüs, in rilievo nel mezzo della parete in legno scuro. La scritta in italiano è rimasta dov’era, ma risulta ora meno visibile in seguito alla generale riprogettazione della facciata. Qualcosa sembra cambiato nella politica linguistica locale. Mentre è rimasta l’idea di un’insegna bilingue, la controparte tedesca ha guadagnato spazio e visibilità e il walser ha sostituito il tedesco standard. Chiaramente è quest’ultimo il cambiamento più rilevante, per il quale sembra di poter ravvisare uno degli effetti della legge 482/99 in termini di autorappresentazione e di legittimazione: se lo dice la legge, il walser è una lingua e può a buon diritto affiancare l’italiano nelle scritte ufficiali, addirittura sovrastandolo laddove la scritta assume un valore emblematico più che pratico.

Quella del municipio è in realtà l’ultima (sebbene la più importante per la rilevanza del luogo) di una serie di insegne in walser che sono comparse a Formazza negli ultimi dieci-quindici anni: si tratta di nomi di locali turistici, alberghi, bed and breakfast, rifugi. Mai come oggi il dialetto walser ha ottenuto una così ampia visibilità, ma mai come oggi il suo destino come lingua effettivamente parlata appare inesorabilmente segnato.
Pur riconoscendo la nuova funzione del walser che, come indice di una alterità storica, geografica e culturale, può essere valorizzato anche economicamente, non va dimenticato il suo valore come codice di comunicazione primario per una comunità che ad un certo punto ha smesso di trasmetterlo a figli e nipoti condannandolo così all’estinzione; per questo gli sforzi della comunità scientifica vanno indirizzati anche verso una adeguata documentazione e valorizzazione (non folkloristica) di questo patrimonio. Sono riflessioni che valgono per il walser ma anche per molte altre lingue di minoranza per le quali ci si accontenta troppo spesso di riconoscimenti “di facciata”, sopravvalutando la visibilità della lingua nello spazio pubblico ma lasciando ai margini gli ultimi esponenti di una cultura orale poco o nulla documentata.

A conclusione di questo breve viaggio a Formazza la risposta alla domanda del titolo di questo articolo non può che essere no. L’esempio di una minoranza “estrema” come il walser non ha certo valore assoluto, serve però a mettere in guardia rispetto a strategie di politica linguistica superficiali e basate principalmente sulla promozione della scrittura, che non tengano conto delle specificità del contesto e poco rispettose dell’habitat sociolinguistico di ciascuna lingua.

Per approfondire, cfr.:
Dal Negro, Silvia. 2020. The dilemmas of ‘saving’ a dying language: Walser German between documentation and planning. Language Problems and Language Planning 44(3), 273–286.

 

Article also available in German or Italian

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