I dazi di Trump. Quali costi per la nostra regione?
Von Federico Boffa

Trump ha iniziato il suo secondo mandato con una politica commerciale molto aggressiva, come già annunciato in campagna elettorale. La settimana scorsa ha introdotto i primi dazi sulle esportazioni europee, per ora di acciaio e alluminio.
Sembra paradossale che a imporre dazi sia proprio il partito di Ronald Reagan, conservatore liberista che invece fin dal principio della sua candidatura riconobbe i benefici del commercio internazionale e promosse la creazione di un’area di libero scambio tra USA, Canada e Messico.
Non meno paradossale è che Trump citi come obiettivo la riduzione del deficit commerciale. Che gli USA importino più di quanto esportino ha infatti ben poco a che fare con i dazi. Significa semplicemente che l’investimento in America è finanziato in buona parte dai risparmi esteri; il che non rappresenta una debolezza statunitense, ma riflette al contrario una duplice forza: la leadership tecnologica e il privilegio di ottenere credito a condizioni vantaggiose.
La teoria economica e le analisi empiriche concordano che l’aumento dei dazi causerà perdite significative e diffuse: tanto più in un’epoca di filiere di produzione complesse e globali, con prodotti finali che utilizzano componenti importati da tutto il mondo. Perderà chi i dazi li subisce, in questo caso la UE; ma anche chi li impone, quindi gli USA, che patiranno certamente un nuovo aumento dei prezzi, e verosimilmente un bastone tra le ruote di molte catene produttive.
A fronte di un impatto aggregato negativo per l’America, è prevedibile però che traggano vantaggio alcune imprese statunitensi: in particolare quelle che diventerebbero competitive nel proprio mercato nazionale a seguito dell’aumento dei prezzi dei rivali esteri. Un gruppo dall’importanza economica contenuta, ma che può essere politicamente importante per il Presidente.
Quali potranno essere i costi per la nostra regione? Bisognerà vedere se i dazi sono soltanto minacciati da Trump come tattica negoziale per raggiungere altri obiettivi, economici o politici; o se invece verranno effettivamente applicati.
Gli USA sono un partner commerciale cruciale per l’Alto Adige: il terzo mercato estero per valore dopo Germania e Austria. Le esportazioni altoatesine in USA sono state di 454 milioni nel 2023, in ulteriore crescita nei primi tre trimestri del 2024. Buona parte afferisce al settore alimentare, immune dai dazi annunciati sinora. Un’altra quota significativa riguarda però il settore dei metalli e quello automobilistico, che potrebbero invece risultarne duramente penalizzati.

La reazione non può essere regionale, ma neppure nazionale: occorre invece una risposta a livello europeo. Non semplicemente replicando ai dazi con altri dazi, strategia negoziale inevitabile ma costosa; bensì soprattutto articolando un’alternativa vincente basata sul multilateralismo e sul rispetto delle regole.
Sul piano internazionale, è il momento giusto per ratificare il nostro accordo commerciale con il Canada e finalizzare quello con il Mercosur: due accordi che tanto maggiori benefici possono portare ai contraenti quanti più ostacoli incontreremo nel commercio con gli USA. Liberalizzare il commercio con il Mercosur, come rilevato da Anna Giunta, Silvia Nenci e Luca Salvatici, favorirà verosimilmente le esportazioni nei settori agroalimentare e dei mezzi di trasporto: due comparti in cui é molto ben posizionata la nostra provincia, che ne potrebbe dunque trarre vantaggio.
Più importante ancora per l’UE è risolvere i problemi strutturali interni che da decenni frenano la nostra crescita e che, ben prima e ben più dei dazi di Trump, ne stanno determinando il declino relativo a USA e Cina, specie nelle tecnologie avanzate. Come sottolinea sovente Mario Draghi, perché l’Europa torni a crescere occorre completare il mercato unico; specie per la finanza, l’energia, le telecomunicazioni e l’industria della difesa: settori particolarmente frammentati e di particolare rilevanza strategica.
C’è inoltre bisogno di una regolamentazione più semplice, efficace, uniforme e imparziale, che promuova la concorrenza e aumenti l’efficienza dei mercati. Vanno quindi superate le tendenze tra dirigismo e sovranismo che inducono ciascun governo a voler mantenere il controllo regolamentare (e a volte la proprietà) dei presunti campioni nazionali, evitando di esporli alla concorrenza intraeuropea.
Lo shock dei dazi potrebbe rivelarsi salutare, se spronerà l’Europa ad agire in questa direzione. Dopo tutto, nel lungo termine l’innovazione è anche la strategia migliore in una guerra dei dazi. La prospettiva di un protezionista come Trump vede nelle importazioni un favore che chi compra fa a chi vende. Se riprenderà quota il progresso della tecnologia europea, i prossimi presidenti americani non potranno invece ignorare che i suoi frutti sono semmai un beneficio che gli esportatori europei apportano ai loro clienti statunitensi.
Federico Boffa, Libera Università di Bolzano
Giacomo Ponzetto, CREI e Università Pompeu Fabra
Foto: CHUTTERSNAP su Unsplash